La riforma dei regimi dell’Iva si sta dimostrando subito come una misura che non favorisce i piccoli professionisti, che ora hanno un carico fiscale che rende eroica anche solo l’intenzione di intraprendere un lavoro autonomo. È bastato in fondo poco per capire che l’aiuto alle piccole partite Iva annunciato con il disegno di legge di stabilità non sarebbe poi stato tale. Gli 800 milioni di sgravi per i piccoli contribuenti autonomi proclamati nei sacri editti intorno a quel disegno di legge sono stati presto oscurati da due conti: vero che sono caduti i requisiti di età (35 anni) e i limiti temporali di mantenimento del regime agevolato (5 anni), ma l’Iva aumenta dal 5 al 15% e i contributi INPS (già superiori al 27%) aumentano di 3 punti percentuali.

Per quanto riguarda i giovani che faticosamente, sulle proprie gambe e con la propria partita Iva, si affacciano al mondo del lavoro: dovranno stare attenti a non fatturare più di 15 mila euro. Se infatti nel precedente regime Iva la soglia massima per usufruire del regime dei minimi era di 30mila, ora si è dimezzata. Per le imprese, i conti sono più complessi, ma odorano sempre di fregatura. Vediamo un esempio, prendendo una delle ben 9 categorie di regime IVA ai minimi:

Un individuo apre una piccola impresa (sotto i 40.000 euro di fatturato)

- Il primo anno fattura solo 40.000 e per il lavoro usa beni di valore inferiore a 20.000 euro.

- Il secondo anno pagherà 2.400 euro di imposta, più 2.400 euro di acconto. Ipotizzando che abbia costi deducibili pari a minimo 25.000 euro, verserà di INPS, tra saldo ed acconto 7.050 euro.

Tenendo conto che la P.IVA stessa ha avuto costi effettivi (inclusi i non deducibili su telefono, auto, trasporto pubblico, etc.) di 26.500 euro, e tolti saldi ed acconti, al micro-imprenditore rimarranno 1.650 euro netti: c
i pagherà commercialista, TARSU e camera di commercio. Ovviamente il primo anno il piccolo imprenditore ha vissuto sotto i ponti, e durante il secondo ha trovato un monolocale a 500 euro il mese, riscaldato a fiato.

- Il terzo anno deve sforzarsi di non fatturare più di 40.000 euro: potrà dedurre l’INPS (7050) e l’acconto IRPEF che azzera quasi l’IRPEF di quell’anno, allora in tasca gli rimarranno ben 9.850 euro: potrà ridare i soldi al Fisco, pagare il commercialista, la TARSU e la camera di commercio...

- Dal quarto anno, dedurrà i contributi normalizzati e gli acconti, e, per non farla lunga, rimarrà da lì in avanti con circa 8000 euro l’anno. Ed inizierà a cercare lavoro all’estero.

Non facciamo esempi sugli altri minimi, perché il giochetto è in realtà simile.

Ecco un altro esempio:

- Il piccolo imprenditore, avendo l’1% nell’attività del padre, non accede al regime dei minimi (regime ordinario delle tasse dove più si guadagna peggio è).

- Il secondo anno, si trova a pagare tra saldi ed acconti: 7.000 euro di IRPEF all’aliquota più bassa, circa 375 di addizionali, 1.170 euro di IRAP, 7.500 di INPS. - Tolti i costi effettivamente sostenuti, il piccolo imprenditore si trova assolutamente senza soldi e deve farsi prestare 2.500 euro, più i soldi per il commercialista, la camera di commercio e la TARSU.

- Il terzo anno,se rimane sui 40.000, potendo comunque usufruire delle aliquote più basse, rimarrà con 9.090 euro, con cui restituirà i soldi prestatigli e pagherà di nuovo il commercialista, la camera di commercio e la TARSU.

- Dal quarto anno in poi rimarrà con circa 6.512 euro l’anno, pagherà di nuovo il commercialista, la camera di commercio e la TARSU, e di nuovo cercherà lavoro all’estero.

MORALE

Il regime dei minimi attuale NON è un regime per favorire le nuove iniziative. Al limite, le sfavorisce di meno. Unico effetto plausibile, il favorire le FALSE PARTITE IVA a fronte delle riforme (future) legate al Jobs Act. Il contratto diventa troppo rigido? Il contratto assume forme troppo standardizzate? Invece di assumere, ti impongo una falsa partita IVA. A tutti gli altri, le vere partite IVA, non interessa.

Senza trascurare che se, come è auspicabile, aumento il fatturato, si entra nel bellissimo mondo del regime ordinario.

Allo stato delle cose, sembrerebbe che ci siano meno incentivi a guadagnare di più, visto il dimezzamento della soglia di compensi. O, peggio ancora per lo Stato e per i moralizzatori della lotta all’evasione, avere la tentazione, non solo loro ma anche del committente, di pagare piccoli importi sottobanco. Cioè di fare nero. Di questa vicenda, resta la conferma di una duplice morale.

I piccoli lavoratori autonomi si confermano una categoria dimenticata perché di difficile visibilità. Eppure, se si volesse seriamente dare sostanza all’astratto impegno di sostenere l’iniziativa economica, bisognerebbe mostrare più attenzione proprio al suo momento di avvio e consolidamento, quale è tipicamente il momento che attraversa un giovane entrando autonomamente nel mondo del lavoro.

(Dott. Francesco Lanzi, dottore commercialista e revisore dei conti)

 

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